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Immagine del redattoreAndrea Zarattini

Grignolino, Pinot Noir e Schiava: miseria e nobiltà.

Il film “Miseria e Nobiltà” è stato pubblicato 1954, la trama si regge sul gioco degli incroci tra vite di espedienti, nobiltà ingombranti e personaggi arricchiti. All’inizio le esistenze dei protagonisti sembrano distanti ma finiranno per intrecciarsi e confondersi. Proprio come potrebbe sembrare difficile, far coesistere il marchese Pinot Noir, il povero Grignolino e l’operosa Schiava. Pinot Noir: ricco, francese, profumato, elegante, esigente e snob. Grignolino: ribelle, scontroso, stinto, ruvido, contadino, speziato e sghembo. Schiava: gentile, accogliente, ordinata, dissetante, attraente e aggraziata. Cosa li accomuna? Io. Io li vedo in qualche modo prossimi. I tre vitigni hanno in comune la qualità di non urlare; mai. Raccontano se stessi con garbo: colori tenui, profumi eleganti e misurati, lineamenti proporzionati, strutture snelle e tante singolarità. Il Pinot noir, proviamo a essere dissacranti, se fosse un vitigno autoctono della provincia di Frosinone sarebbe un vinello italiano considerato buono ma sempliciotto. E’ evidente che questa sia una forzatura, ma cogliamone lo spunto: spesso c’è un assoluto preconcetto di qualità nei confronti di questo vitigno francese. Ci sono anche mediocri Borgogna in circolazione (sopravvalutati per sudditanza alla denominazione) e ottimi Pinot dall’Oregon o dalla provincia di Pavia (uno per tutti Conti Vistarino) o dall’Alsazia. Il Grignolino è così perché è italiano, se fosse francese sarebbe concettuale e affascinante, il vero punto di arrivo dell’esistenza di un amante del vino. Per fare un grande Grignolino servono, più che in altri casi, terreni adatti, tanto lavoro in cantina nelle fasi iniziali e tanta, tanta, tanta voglia di seguirlo. Il grignolino non è quello che anni di produzione a basso investimento hanno espresso. Il grignolino è molto di più, basta rispettarne la natura e non svilirlo o snaturarlo. La Schiava è in grado di esprimere molto di più di quello a cui solitamente è associata. Ha fama di essere un vino “easy”, è in realtà un vitigno con grandi doti di eleganza e longevità (basta investire). Un bicchiere di Schiava allarga il cuore, rasserena, solleva. Il Lagrein, potente e corposo, ha in passato imposto alla Schiava la parte della comparsa, oggi le cose sono migliorate. La Schiava è per me,spesso, un sorso soave alla fine delle giornate troppo lunghe. Cosa accomuna questi tre vini? Non i profumi, non i sapori, non il colore. Li affianco per personalità, per quella capacità di essere minimalisti e completi allo stesso tempo. Sono un sorso lieve, completo e armonico senza esibizionismi. La loro complessità è sempre legata alla sottrazione, con loro l’essenzialità è paga sempre. Se interpretati per quello che sono realmente, la loro capacità di dissetare, soddisfare e invogliare a bere è difficilmente equiparabile. Berli appaga senza bramosia, tuttavia non se ne è mai sazi. Sono vini che camminano fermi e stabili sopra ad un filo teso, coraggiosi, romantici e sfuggenti. Peccato che produttori e mercato mettano troppa distanza tra loro.




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