C’è un momento nella vita nel quale si realizza che Babbo Natale non esiste e che non ti hanno portato le cicogne. Nonostante ciò, il 25 dicembre arrivano i regali e in qualche modo siamo al mondo. Quindi la complessità nel vino esiste, ma non è un fattore magico che solo alcuni produttori possono esprimere, è un’arte delicata e minuziosa che bisogna saper comporre. Partiamo dalla base. Il vino che non sfiora il legno esprime sentori fruttati e floreali, più o meno maturi, freschi o intensi. Davanti a queste note difficilmente parliamo di complessità. Il vino che sosta in legno regala sensazioni speziate: vaniglia, tabacco, liquirizia… è logico pensare che queste note siano un contributo delle botti, tonneaux o barrique. In presenza di questi sfumature, nella testa del sommelier, comincia ad eccitarsi il sensore della complessità. Un vino è complesso quando il mix di note è così ampio e bilanciato da avvertire tutto il corredo di profumi/aromi/terziari in maniera armonica. Tanto da poterli percepire tutti ma avere difficoltà ad identificarli singolarmente. La complessità è quindi una articolata architettura basata sulla sensibilità, conoscenza e competenza di chi fa il vino. Qualche giorno fa sono stato ospite di Gianni Maccari. Ho avuto il privilegio di assaggiare la stessa massa di vino in tre vasi della stessa età, della stessa capacità ma di tre bottai differenti. Ridolfi Montalcino è una bella cantina, che sta lavorando in maniera equivalente e parallela su vigna, vinificazione e affinamento. La nuova proprietà ha ereditato un livello piuttosto basso ma in poco tempo sta organizzando bene idee e lavoro. Non è facile sviluppare contemporaneamente diversi aspetti mantenendo il controllo dei fattori rilevanti. Certamente le loro idee di sviluppo e lavoro sono chiare, lo dimostra quello che ho visto e sentito nella bottaia. Tre botti (tra i 32 e 35 hl), tre bottai differenti, stesso vino.
Marc Grenier. E' il foudrier di Borgogna. In assoluto la mia botte preferita, non lavora sulle potenze ma rifinisce e perfeziona le estremità. Un apporto impercettibile ma molto efficace che rende tutto piacevole ed elegante. Nata in Borgogna, per la Borgogna questa botte chiede Pinot Noir sotto tutti i punti di vista: non tocca il fiore e il frutto aggraziato del Pinot ma lo completa ed esalta in attacco e chiusura.
Pauscha. Molte cantine hanno vasi di questo bottaio austriaco. Una ragione ci sarà. Le prime le vidi in
Langa, credo perché siano botti molto equilibrate nel dare il proprio apporto, quindi idonee al Nebbiolo. Incidono in maniera lineare supportando l’architettura del vino senza cambiarne l’espressività. Cedono una sorta di appoggio alla bocca che risulta più armonica e arrotondata.
Taransaud. Ho visto tante barrique e botti di questa tonnellerie utilizzate da grandi produttori. Esprime il frutto, spinge la fase centrale del palato e del naso, colma e appaga. Lato opposto della Francia rispetto a Grenier, punti di forza opposti. Le ho sempre trovate perfette per il produttore che sceglie linee di produzione molto personalizzate che danno un vino dalla marcata personalità e forza.
Naturalmente le mie considerazioni fanno riferimento alle caratteristiche medie rilevate in questi anni, assaggiando da botti con lavorazioni e tostature differenti. Ritengo comunque che si possa delineare una certa identità dei tre bottai. Quindi, per tornare alla complessità, si costruisce anche con l’utilizzo degli strumenti giusti, con tanta competenza, esperienza e molta conoscenza delle uve disponibili. La complessità non è un virtuosismo per artisti ma è un mestiere per artigiani.
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